Milena Rampoldi, I Corsari

 

In quest’opera l’autrice  che  da  anni  si  occupa  di  studi  arabi ed  islamici affronta una tematica storica avvincente riguardante il  Mediterraneo del Cinquecento,  uno  spazio  dinamico  e  pieno  di   contatti e conflitti interculturali e interreligiosi. Noi dell’associazione  ProMosaik  siamo fermamente convinti   dell’importanza    dell’approccio    storico    per riaffermare   l’unità   del  Mediterraneo   quale   spazio   interculturale   e interreligioso oggi come allora.

 

Ecco l’introduzione dell’opera in cui la Dr. Rampoldi riassume le tematiche fonda-mentali ici affrontate:

“In  questo  lavoro  tenteremo  di  proporre  una  panoramica generale  della realtà politica, economica  e  sociale  dei Paesi del  Maghreb nel  corso  del secolo sedicesimo, il primo dell’età moderna nel Mediterraneo.

 

Nel primo capitolo perseguiremo innanzitutto lo scopo di tracciare la fondazione e la strutturazione del primo Stato corsaro barbaresco ad opera di Hayr ad-Din, detto il Barbarossa, corsaro levantino originario dall’isola greca di Lesvos, trasferitosi ad Algeri agli inizi del Cinquecento, il quale conquistò Algeri, sottomettendosi poi come vassallo al Sultano di Istanbul, divenendo  ammiraglio  della  flotta  ottomana  e  governatore  della  Algeri barbaresca.

 

Evidenzieremo in primo luogo i tratti salienti della biografia di Hayr ad-Din e dei suoi successi militari per poi trattare dell’organizzazione politica e militare interna a questi Stati caratterizzati da un forte spirito autonomistico ed indipendentista all’interno dell’Impero Ottomano. Per quanto concerne il Cinquecento, comunque, ci troviamo agli inizi di un progressivo distacco dal controllo del Sultano, situazione che si rafforzerà ulteriormente nel corso dei due secoli a venire.

 

Dal punto di vista del paradigma storiografico da noi adottato nel corso di queste riflessioni, abbiamo cercato di evitare da una parte l’eurocentrismo “orientalista”, come lo denomina lo studioso palestinese Edward Said nel suo famoso saggio Orientalism; dall’altra però cerchiamo anche di evidenziare con forza come il paradigma teologocentrico si riveli non solo carente, ma anche aberrante, se si vuole fornire una spiegazione realistica delle lotte intramediterranee del secolo sedicesimo. Partendo da questa motivazione storiografica e paradigmatica di fondo, nel secondo capitolo tratteremo di due eventi storici fondamentali del secolo in questione. In primo luogo analizzeremo l’assedio ottomano di Malta del 1565, evidenziando fondamentalmente da una parte l’apporto militare e strategico fornito dai barbareschi maghrebini all’azione militare ottomana, e dall’altra fornendo alcune indicazioni riguardanti la guerra di corsa cristiana dei maltesi e la loro ideologia di crociata ormai tramontata e trasformatasi in volontà di dominio territoriale.

 

Nel secondo paragrafo di questo capitolo affronteremo poi la battaglia di Lepanto del 1571, secondo un paradigma che si distacca dal teologocentrismo, che considera la battaglia uno scontro religioso, mentre siamo invece fermamente convinti che il materialismo e il pragmatismo storiografico forniscano delle risposte ben più valide riguardo a questo scontro navale, che segnò l’inizio del declino della potenza ottomana nel Mar Mediterraneo e lo spostamento degli interessi spagnoli dal Mediterraneo verso l’Oceano Atlantico.

 

Metteremo in risalto come la pace mediterranea, che fu il risultato di questi sviluppi, significò il trionfo della guerra di corsa rispetto alle grandi guerre tra le potenze spagnola da una parte e ottomana dall’altra, nel contesto del Mediterraneo cinquecentesco.

 

Gli scontri avvenuti a Malta e a Lepanto, secondo la nostra chiave di lettura, non vanno collocati all’interno di un quadro manicheo  di  contrapposizioni  religiose  tra  Islam-gihad  e  Cristianesimo-Crociata.  Vanno  invece  visti  in una  nuova prospettiva che si avvicina da un lato alla visione della storia presentata da Niccolò  Machiavelli  nel suo  Principe,  e dall’altro a quella del materialismo e del pragmatismo applicati alla ricerca storica.

 

Un contributo fondamentale alla comprensione storiografica degli Stati barbareschi del Cinquecento e del loro rapporto con la potenza spagnola cattolica e con quella ottomana, viene fornito dall’opera monumentale dello storico francese contemporaneo Fernand Braudel, La Mediterranée  et  le  monde  mediterranéen  à  l’époque  de  Philippe  II, nella  quale l’autore afferma  ampiamente  anche  un  punto  di  vista  storico-geografico,  che  la  storiografia sul  Mediterraneo cinquecentesco deve riuscire a far suo.

 

Anche noi siamo fermamente convinti del fatto che solo partendo da coordinate temporali ed insieme topografiche e geodinamiche nel senso dello storico anglosassone John Wansbrough e mai da una visione statica e dualistica quale quella dello storico belga Henri Pirenne, si possa cogliere il Mediterraneo cinquecentesco in tutta la sua complessità.

 

Il  capitolo  terzo  sarà  incentrato  sullo  sviluppo  delle  altre  due  maggiori  città  barbaresche,  Tunisi  e  Tripoli, che  si svilupparono quasi mezzo secolo più tardi rispetto ad Algeri.

 

Abbiamo deciso di esporre in modo globale lo sviluppo storico delle due città al fine di riuscire a mettere in risalto alcune delle costanti presenti nell’evoluzione generale degli Stati barbareschi del Cinquecento.

 

Di conseguenza, in primo luogo,  cercheremo  di  dimostrare  l’aspetto  urbanocentrico  degli  Stati  corsari  e dei  territori conquistati dagli  Ottomani  in  generale,  in  quanto  essi  non  controllavano  mai  un’intera  regione,  ma solo  le  sue  città principali, fondamentali dal punto di vista strategico, come era il caso delle città portuali.

 

“Stato corsaro”, come anche “Stato corsaro vassallo dell’Impero Ottomano” non significò dunque mai il pieno controllo del territorio maghrebino da parte del Sultano.

 

Il Maghreb ottomano-barbaresco costituì di conseguenza solo una parte della variegata e dinamica realtà etnica, economica e sociale del Maghreb del Cinquecento.

 

Vedremo dunque come il Cinquecento ottomano fu caratterizzato da una parte da grandi ed audaci corsari, quali Hayr ad- Din, suo fratello ‘Arug, Uluç Ali e Turgud reis, e dall’altra dalle città maghrebine in dinamica espansione dal punto di vista economico.

 

Come cercheremo di evidenziare, sulla base degli studi condotti dallo storico dell’economia Ciro Manca, il Cinquecento delle città barbaresche rappresentò un’epoca in cui l’economia maghrebina si orientò in misura sempre crescente verso l’Europa mediterranea.

 

Gli scambi tra le due sponde del Mediterraneo, generati dalla guerra di corsa e dalla pirateria, distinte dal punto di vista giuridico, come  rilevato  dagli  studi  dello  storico  italiano  Salvatore  Bono,  ma  allo  stesso  tempo  simili  e spesso  in interazione fino a confondersi l’una con l’altra, erano massicci.

 

In seguito, nel quarto capitolo, perseguiremo l’obiettivo di descrivere questa infinita complessità di scambi di beni e di commercio di schiavi sia musulmani che cristiani.

 

In  questo  contesto  ci  concentreremo  comunque  su  due  fenomeni  di  estrema  rilevanza  socio-economica  sulla  base dell’esempio di Algeri. In primo luogo, affronteremo la tematica della schiavitù nelle città barbaresche a partire dalla figura di un famoso schiavo presente ad Algeri negli anni tra il 1575 e il 1580: il poeta e romanziere spagnolo Miguel Cervantes de Saavedra, che in numerosi passaggi delle sue opere descrisse Algeri e i suoi schiavi.

 

Successivamente  vedremo  il  voltafaccia  della  schiavitù  subita,  visibile  nei  personaggi  “rinnegati”,  gli  hombres  de frontera, come li chiama lo storico spagnolo contemporaneo Emilio Sola, schiavi che furono liberati all’indomani della loro conversione all’Islam e in seguito riuscirono ad intraprendere una lungimirante carriera come capitani corsari nelle città barbaresche.

 

Nel capitolo finale abbozzeremo un quadro generale della lingua franca barbaresca, ancora poco indagata dalla linguistica storica contemporanea, ma a nostro avviso di grande importanza in quanto risultato fondamentale del dinamico processo storico non solo del secolo in questione, ma anche del periodo medievale che lo precedette.

 

Nell’appendice a questo capitolo citeremo dei documenti in lingua franca, da noi tradotti in lingua italiana, proponendo un’analisi concreta del lessico, della morfologia e della sintassi di questo idioma mediterraneo, sviluppatosi attraverso l’incontro di diverse lingue sia neolatine, che semitiche e turcofone.

 

Infine,  in  appendice  ai  paragrafi  concernenti  le  città  barbaresche  di  Tunisi  e  Tripoli,  proporremo delle  traduzioni dall’arabo di testi riguardanti il Cinquecento barbaresco in alcuni suoi aspetti a nostro avviso rilevanti.”