Il 19 novembre 1915 Joe Hill fu fucilato da un plotone d’esecuzione a Salt Lake City. Come Malcolm X, Patrice Lumumba, Che Guevara o Thomas Sankara, è morto, assassinato dal nemico di classe, a neanche 40 anni, 36 per l’esattezza. Questa pagina epica, tragica e sanguinosa della storia della classe operaia delle Americhe merita di essere raccontata. È la storia di uomini e di donne che erano fuggiti dalla vecchia Europa in cerca del paradiso in terra e caddero nell’inferno del capitalismo più assassino della storia, insieme ai loro fratelli e sorelle neri e nativi.
Cinque domande di Milena Rampoldi all’autore, Fausto Giudice.
Come hai scoperto Joe Hill?
Ero un giovane immigrato in Svezia alla fine degli anni Sessanta. Erano gli “anni d’oro” della socialdemocrazia al potere, che dichiarava ogni dissenso come “devianza”, da trattare con mezzi psichiatrici. Mi identificavo con i “dannati della terra” e trovavo la morale luterana imperante incomparabilmente ipocrita. Chi diceva di volere il bene del popolo aveva riscritto la storia, cancellando l'”altro movimento operaio”, che aveva combattuto il capitale con mezzi tutt’altro che pacifici. Joe Hill era una figura leggendaria in questo cosiddetto “altro movimento sindacale”. Nel 1970 mi ritrovai con qualche centinaio di emarginati come comparsa nel film di Bo Widerberg su Joe Hill nei quartieri meridionali di Stoccolma. Tutto quello che conoscevo di lui fino ad allora era la canzone che Joan Baez cantò a Woodstock. Joe Hill mi diceva che la classe operaia svedese non era sempre stata il pacifico pachiderma della rappresentanza socialdemocratica. E ho scoperto Anton Nilsson, “l’uomo dell’Amalthea”. Questo operaio ventunenne, insieme a due compagni, aveva piazzato una bomba vicino a una nave chiamata Amalthea, ormeggiata a Malmö, che ospitava i crumiri inglesi importati dai padroni contro uno sciopero dei portuali, nel 1908. Anton Nilsson fu condannato a morte e la sua pena fu commutata in ergastolo a seguito di una campagna internazionale, condotta in particolare dall’International Workers of the World, il sindacato in cui Joe Hill era attivo negli Stati Uniti.
Cosa ci dice oggi Joe Hill?
Il suo messaggio essenzialmente consiste in due cose: 1. è possibile organizzare i più sfruttati, i più oppressi in modo intelligente ed efficace, adattando le forme di organizzazione alla realtà sociale di coloro che stanno “sotto”, i migranti, le donne, i precari, i non qualificati, quello che fece IWW, evitando qualsiasi forma di burocrazia socialdemocratica. Ecco cos’è l'”altro movimento operaio”, in contrapposizione ad apparati come la DGB tedesca, l’AFL-CIO yankee o la LO svedese: un movimento che si attiene alla realtà della classe, che è mobile, fluida e mutevole. 2 – si possono inventare forme di comunicazione popolari, creative, incisive e umoristiche. Le canzoni di Joe Hill ne sono un esempio meraviglioso.
C’è qualche Joe Hill oggi?
Non che io sappia. Alcuni rapper potrebbero esserlo, se scegliessero di cantare con e per i lavoratori che si stanno organizzando presso Amazon, McDonalds, Starbucks, Deliveroo, Uber e tutte le altre aziende del “nuovo capitalismo”, nuovo solo nelle sue forme.
Che cosa avrebbero fatto oggi Joe Hill e l’IWW?
Avrebbero organizzato gli “altri” lavoratori, camminando su due gambe: sul contatto fisico e su quello virtuale. È quanto sta accadendo, ad esempio, in Cina, dove i giovani lavoratori delle fabbriche mondiali, senza un sindacato che li difenda, utilizzano i social media per rivendicare i propri diritti e per organizzarsi.
Perché la collezione “Erga Omnes”?
“Erga Omnes”, “Per tutti”, era il motto dei ribelli schiavi guidati da Spartaco che misero a repentaglio la Repubblica romana tra il 73 e il 71 a.C. Questa collana si propone di pubblicare libri sulle grandi figure, a volte dimenticate, delle rivolte logiche – per usare le parole di Rimbaud – attraverso i secoli.
Un breve video di presentazione: